Un esame istologico consiste nello studio al microscopio ottico delle caratteristiche di un tessuto dopo asportazione mediante biopsia o chirurgica. Il tessuto, fissato in formalina ed incluso in paraffina, viene reso idoneo al taglio in sezioni di pochi micron che saranno colorate routinariamente in Ematossilina-Eosina. L’esame delle sezioni così colorate consente di valutare la natura, benigna o maligna, della lesione asportata e di studiarne, qualora si renda necessario, le caratteristiche funzionali mediante reazioni antigene-anticorpo con metodiche di immunoistochimica. In alcuni casi i tessuti possono essere oggetto di uno studio molecolare mediante tecniche specifiche.

 

BIOPSIA MAMMARIA Grazie all’evoluzione tecnologica, in merito sia alle metodiche bioptiche che alle esigenze di trattamento, si ricorre sempre più frequentemente alla biopsia di lesioni o modificazioni della ghiandola mammaria, uniche o multiple, che offrono all’indagine clinico-strumentale (esame clinico e tecniche di immagine come la mammografia, l’ecografia e la RM con mdc) caratteristiche non ben definite o comunque non sufficientemente chiare ovvero sospette o verosimilmente maligne.

 

Questa procedura ha due finalità: identificare precocemente lesioni francamente benigne rispetto a lesioni sospette o francamente maligne, prevenendo ritardi diagnostici; evitare nei casi di patologia francamente benigna un inutile intervento chirurgico. La biopsia mammaria, eseguita come “core biopsy” o come VABB (Vacuum Assisted Breast Biopsy) sotto guida ecografia o sotto guida mammografica, produce dei piccoli frustoli di tessuto che vengono studiati e classificati:

B1 indica un tessuto perfettamente normale (evento rarissimo) ovvero un prelievo inadeguato. Inadeguato sottintende che l’aspetto istologico del campione non corrisponde alla valutazione strumentale fatta, ovvero non la giustifica. Ciò può accadere per varie ragioni ma soprattutto si verifica in caso di VABB su microcalcificazioni qualora esse non siano evidenti nei frustoli. In questi casi il clinico deve rivalutare il caso per rendersi conto se effettivamente il prelievo fatto corrisponde all’area “sospetta” o meno.

B2 identifica un campione adeguato (cioè con caratteristiche istologiche che giustificano il quadro clinico-radiologico) riferibile a lesioni di natura assolutamente benigna. In caso di reperto mammografico con microcalcificazioni queste devono essere evidenti nel tessuto e tali da giustificare il loro rilievo strumentale.

B3 indica una lesione “atipica” ovvero con caratteristiche citologiche e/o strutturali diverse dall’ampio pattern che può essere rappresentativo di una lesione francamente benigna ed identifica un “fattore di rischio” per carcinoma. Corrisponde di fatto ad una lesione “verosimilmente benigna”, ma meritevole di una più approfondita indagine istologica (possibile intervento chirurgico) o, a seconda delle caratteristiche, di un più accurato controllo e monitoraggio, a discrezione del clinico senologo.

B4 definisce una lesione molto sospetta morfologicamente “verosimilmente maligna” in casi in cui per alterazioni artefattuali, scarsità dei reperti o altro il campione in studio è molto sospetto per un tumore maligno ma non può essere valutato con certezza. Questi casi vanno all’intervento chirurgico che consentirà un’adeguata definizione della lesione.

B5 indica un carcinoma franco, in situ (ovvero non ancora infiltrante lo stroma), oppure infiltrante. Distinguono le due situazioni le sigle B1a (carcinoma in situ) e B1b (carcinoma invasivo). B1(c) viene utilizzato in casi ove si ha un sospetto di infiltrazione tessutale ma per ragioni diverse questo non è definibile con certezza. Sebbene l’agobiopsia soffra in alcuni casi di limiti dovuti ad un “difetto di campionamento”, ovvero il frustolo è solo parzialmente rappresentativo della lesione identificata, pertanto potrebbe non comprendere le aree di infiltrazione, essa identifica comunque i casi da sottoporre ad intervento ove l’esame istologico di tutta l’area asportata consentirà una diagnosi più completa ed accurata.

 

Se da una parte la biopsia consente di identificare chiaramente lesioni benigne, le quali non necessitano alcun ulteriore trattamento, rassicurando la paziente, dall’altra consente di identificare rapidamente lesioni sospette o maligne e, nel caso di queste ultime, programmare il tipo di intervento e terapia più idonee: resezione chirurgica e tipo di resezione (a seconda del tipo di tumore e della sua estensione), procedura del linfonodo sentinella, terapia neoadiuvante etc.

Il trattamento più idoneo, in caso di neoplasia maligna, dipende da una serie di paramentri che comprendono sia le caratteristiche macroscopiche/cliniche delle lesioni e la loro estensione, ma anche quelle biologiche che sono tipo di tumore, grado di differenziazione e fattori prognostici. Infine, la biopsia è necessaria per definire, nei casi di carcinoma infiltrante sottoposti a trattamento neoadiuvante, l’entità della risposta al trattamento stesso che si basa essenzialmente su una valutazione della cellularità neoplastica infiltrante residua.

 

ESAME ISTOLOGICO DEL CAMPIONE OPERATORIO Il campione operatorio, adeguatamente contrassegnato dal chirurgo per lo studio dei margini, quindi della radicalità dell’escissione, rappresentativo dell’intera lesione, consente una valutazione completa della neoplasia in tutte le sue componenti: istotipo e grado di differenziazione (indica l’entità della perdita delle caratteristiche “normali” citologiche e strutturali di una neoplasia, un carcinoma è tanto più differenziato quanto più somiglia al tessuto di origine). Paradossalmente un tumore più “sdifferenziato” ovvero più aggressivo è anche un tumore più aggredibile oncologicamente e quindi in grado di rispondere meglio alla chemioterapia, sia essa adiuvante (dopo l’asportazione) o neoadiuvante (prima dell’asportazione chirurgica). Inoltre, in alcuni casi il grado di differenziazione è correlato all’istotipo ed identifica forme con un comportamento clinico ed una prognosi ben definiti. L’esame istologico “definitivo” permette una valutazione completa delle caratteristiche tumorali, ivi inclusi estensione locale o a distanza, qualora vengano asportati anche i linfonodi, una chiara differenziazione tra forme non infiltranti ed infiltranti e l’entità dell’infiltrazione rispetto alla componente in situ, una chiara definizione delle “varianti” particolari, l’idoneità dei margini di escissione, al fine di prevenire eventuali recidive, lo studio funzionale delle caratteristiche del tumore ovvero fattori prognostici, nel tumore primario ed eventualmente nelle metastasi, e , qualora necessario, il profilo molecolare.

 

Dott.ssa Domenica Di Stefano

U.O.C. Anatomia Patologica

A.O. Sant' Andrea - Roma

 

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