In chi ha episodi di palpitazioni sale il rischio di morire per ictus, infarto, trombosi. Le terapie anticancro possono avere conseguenze negative sul cuore. I campanelli d’allarme da non trascurare

 
 
 
Le persone che hanno avuto episodi di tachicardia nei primi 12 mesi dalla diagnosi di cancro hanno tassi di mortalità più elevata per i dieci anni successivi. È quanto è merso da uno studio presentato durante la conferenza dell’American College of Cardiology, tenutasi a Washington recentemente, che ha riunito specialisti di oncologia e cardiologia proprio per valutare le molte «relazioni pericolose» fra le due patologie.«Sono due gli aspetti da tener presenti – sottolinea Giuseppe Curigliano, presidente dell’International CardiOncology Society -: primo, circa la metà dei malati di tumore ha più di 65 anni e per via della loro età possono avere problemi cardiovascolari; secondo, grazie ai molti progressi fatti e al numero crescente di pazienti che guariscono o convivono a lungo con il cancro, oggi abbiamo imparato che le terapie anticancro possono avere effetti collaterali sul cuore anche a distanza di anni dal termine del trattamento antitumorale. Prendiamo maggiori precauzioni per prevenire la tossicità cardiaca, ma è importante che anche i diretti interessati non trascurino possibili avvisaglie».
 
Tachicardia, quando il cuore batte oltre 100 battiti al minuto

Si parla di tachicardia sinusale quando il cuore batte molto più velocemente del normale mentre si è a riposo e può provocare palpitazioni. La tachicardia sinusale corrisponde all’innalzamento della frequenza cardiaca al di sopra di 100 battiti al minuto. Può manifestarsi dopo un consumo eccessivo di caffè, alcolici o tabacco, ma anche essere spia di qualcosa di molto più serio. «Nei pazienti curati per un tumore, le palpitazioni possono essere anche conseguenza della presenza di trombi (condizione pericolosa e frequente nei pazienti oncologici) che causano ictus, arresto cardiaco, infarto – dice Mohamad Hemu, ricercatore dell’Università di Chicago, fra gli autori dello studio -. Nella nostra indagine abbiamo analizzato i dati relativi a 622 malati con vari tipi di cancro (tra cui leucemia, linfoma, mieloma o ai polmoni) curati fra il 2008 e il 2016, in media 70enni. Ne è emerso che i pazienti con episodi frequenti di tachicardia vanno incontro a un rischio maggiore di morire: il 62 per cento di chi ne ha sofferto è morto entro 10 anni dalla diagnosi di tumore, rispetto al 23 per cento di chi non ha avuto palpitazioni».

 

 

Le terapie anticancro che possono avere conseguenze negative sul cuore

Grazie al numero crescente di pazienti guariti o cronicizzati (che quindi convivono anche molti anni con il tumore), oggi sono meglio note anche le conseguenze a lungo termine delle cure e numerose ricerche hanno provato come alcuni chemioterapici (ad esempio le antracicline) e la radioterapia (soprattutto per cancro al polmone o seno, più vicini al cuore) specie ad alti dosaggi, possano lasciare a livello cardiovascolare conseguenze indesiderate, talvolta irreversibili. Anche le terapie ormonali (anastrozolo, letrozolo, exemestane) possono alterare far aumentare il rischio tromboembolico.«Bisogna prevenire e monitorare i possibili danni al cuore causati dalle terapie anticancro, evitando una terapia che possa causare cardiotossicità ogni qual volta esiste un’alternativa efficace contro il tumore – spiega Curigliano, che è direttore della Divisione Sviluppo Nuovi Farmaci per Terapie Innovative all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano -. Inoltre è importante fare un’attenta valutazione dei rischi cardiovascolari dei malati e sottoporli a un ecocardiogramma prima che intraprendano i trattamenti antitumorali».

 

Perché i malati di cancro sono più a rischio di problemi cardiovascolari

«Bisogna precisare che le patologie cardiovascolari e i tumori sono in stretta correlazione tra loro - chiarisce Antonio Russo, ordinario di Oncologia medica dell’Università di Palermo e membro del consiglio direttivo dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom), tra i coordinatori del gruppo di lavoro interdisciplinare di cardioncologia -. Evidenze scientifiche suggeriscono che ci sono fattori di rischio comuni a entrambe le patologie (oltre che al diabete) e che queste concomitanze giustificano il fatto che ci siano molti pazienti oncologici affetti anche da patologie cardiache, il che li rende soggetti ad un maggiore rischio di sviluppare un evento acuto. Inoltre, il tumore è un fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di tromboembolismo artero-venoso, in quanto le cellule tumorali producono sostanze che determinano uno stato di ipercoagulabilità con conseguente aumento di rischio tromboembolico e quindi aumentata possibilità di andare incontro ad eventi acuti quali ictus, infarto del miocardio ed embolia polmonare. Questo rischio è legato anche al tipo di tumore, per esempio quello del pancreas o quello del polmone sono maggiormente associati allo sviluppo di eventi tromboembolici. Bisogna aggiungere che questo quadro è gravato dalle terapie antitumorali cui viene sottoposto il paziente oncologico, che, se da un lato diventano sempre più efficaci aumentando la sopravvivenza di questi pazienti, dall’altro possono essere responsabili di effetti collaterali cardiovascolari imputabili in particolare ad alcune classi di farmaci».

 

I campanelli d’allarme da non trascurare

«I pazienti oncologici dovrebbero porre attenzione a segni e sintomi quali per esempio la presenza di battiti accelerati, oppure la cefalea o le vampate di calore improvvise che potrebbero essere indizi di ipertensione arteriosa non più controllata dalla terapia farmacologica o di nuova insorgenza – evidenziano gli esperti -. Bisogna inoltre porre attenzione alla possibile comparsa di affanno a riposo o sotto modico sforzo, ad esempio salendo le scale o semplicemente camminando, che possono anticipare uno scompenso cardiaco. Il paziente dovrebbe sempre riferire al medico (di medicina generale, oncologo o cardiologo) l’insorgenza di simili disturbi perché sappiamo oggi che una diagnosi precoce permette di ottimizzare il trattamento e migliorare la prognosi. E’ importante inoltre sottolineare che anche i pazienti che hanno interrotto il trattamento chemioterapico con farmaci potenzialmente dannosi per il cuore devono prestare attenzione all’insorgenza di tali segnali, dal momento che sono anch’essi a rischio di sviluppare nel tempo un evento cardiovascolare».

 

Le malattie cardiovascolari più probabili in un paziente oncologico

«Si stima che oltre il 40 per cento dei pazienti oncologici debba fare i conti con patologie cardiovascolari – conclude Russo -. Tra le complicanze più frequenti si annoverano ipertensione, scompenso cardiaco, disturbi del ritmo, cardiopatia ischemica, tromboembolismo. Non è possibile dare numeri precisi in quanto si deve tenere conto di vari fattori tra cui, tipo di tumore, tipo di farmaco utilizzato e tempo di esposizione che non è comparabile in tutte le situazioni cliniche e che è differente a seconda dello stadio di malattia. Per esempio le antracicline, e gli anticorpi monoclonali anti/HER2 molto utilizzati nella terapia del carcinoma della mammella sono correlati all’insorgenza di scompenso cardiaco. I farmaci antiangiogenici, tra i quali gli inibitori del recettore tirosin-chinasico (TKI), che inibiscono la crescita dei vasi sanguigni necessari alla sopravvivenza delle cellule tumorali, sono invece maggiormente responsabili di ipertensione, tromboembolismo e disturbi del ritmo cardiaco».

 

FONTE: https://www.corriere.it/salute/cardiologia/19_febbraio_12/tachicardia-segnale-d-allarme-chi-stato-curato-un-tumore-ad668ef6-2ec0-11e9-bcaa-0e74879998a8.shtml