Si parla tanto in questi giorni di una “nuova” forma di tumore che colpisce le donne portatrici di protesi al seno.

Ma come stanno veramente le cose?

Nel mondo le donne portatrici di protesi impiantate, sia a scopo ricostruttivo che a fini estetici, sono milioni.

In un piccolissimo numero di casi, solo 173 in tutto, in prossimità della protesi mammaria è stata osservata la presenza di cellule di una rara forma di linfoma (tumore che origina dal sistema immunitario) chiamato linfoma anaplastico a grandi cellule.

Dire che ci sia un’associazione tra presenza di protesi e linfoma non corrisponde ad un rapporto di causa effetto, cioè che le due situazioni siano necessariamente legate fra loro. Si sta infatti cercando di capire se, e quanto, la presenza della protesi in donne predisposte, possa avere influenza sulla formazione di questo rarissimo tipo di linfoma. E’ stato ipotizzato che la presenza della protesi, in quanto “corpo estraneo” potrebbe determinare l’istaurarsi di un processo infiammatorio cronico che negli anni, in alcuni soggetti, condurrebbe alla trasformazione neoplastica di elementi del sistema immunitario coinvolti nella risposta infiammatoria locale.

E le donne portatrici di protesi mammarie cosa devono fare? Non è il caso di allarmismi infondati, ma, come al solito, sarà necessario non trascurare eventuali sintomi. Questi consistono in un aumento di volume della mammella portatrice di protesi (sia che sia una mammella operata per una precedente forma tumorale del seno, sia che sia stata utilizzata una protesi per estetica - mastoplastica additiva) in genere a distanza di tempo, da 6 mesi a 25 anni, dall’impianto della stessa. A livello della mammella si forma cioè un accumulo di liquido che circonda la protesi e la sua capsula, senza che ci sia stato un trauma o un’infezione che possa giustificarlo.

In questi casi sarà opportuno rivolgersi al proprio medico di riferimento per la richiesta di un esame ecografico con contemporanea aspirazione del liquido che non deve essere scartato, ma assolutamente inviato ad un laboratorio per l’esame citopatologico. E’ importante sapere che le Linee Guida nazionali per le Unità di Senologia prevedono ormai il riconoscimento a livello Regionale di centri di eccellenza per la materia senologica; è bene che le donne che abbiamo sintomi, si rivolgano direttamente a centri pubblici specializzati per indagini accurate eseguite da professionisti dedicati.

Se l’esame citologico dovesse risultare positivo (presenza delle cellule da linfoma) la donna verrà indirizzata ad un centro di ematologia di riferimento

Va sottolineato che se la diagnosi è precoce, quando cioè le cellule neoplastiche si trovano solo nella mammella colpita, l’asportazione della protesi può essere sufficiente per portare a completa guarigione. E in questi casi la donna non dovrà sottoporsi a ulteriori terapie anche se dovrà essere sempre attentamente seguita.

 

Gruppo di Studio BI-ALCL – Azienda Ospedaliera Universitaria S.Andrea, Roma - per IncontraDonna