Un anno fa l’attrice Angelina Jolie si fece operare per ridurre il rischio cancro. La Professoressa A. Bonifacino ci spiega quali parametri considerare per decidere l’utilità di ricorrere all’esame, e cosa fare.

 

Con la collaborazione della Professoressa Adriana Bonifacino - Responsabile dell’Unità di Diagnosi e Terapia in Senologia dell’Ospedale S. Andrea di Roma

 

Ha avuto il merito di spezzare un tabù. Raccontando la sua storia sulle pagine del New York Times, l’attrice Angelina Jolie, ha infranto un anno fa il velo di omertà sulle mutazioni genetiche e attirato l’attenzione su un tema fino ad allora poco conosciuto. Grazie al test del Dna, la star premio Oscar ha scoperto di possedere lo stesso gene (BRCA 1 e 2) difettoso, ereditato da sua madre e sua zia, entrambe decedute per un tumore al seno. Chi possiede la mutazione, secondo gli studi, ha l’85% delle probabilità di incorrere nel cancro alla mammella e il 50% in quello delle ovaie. La Jolie scelse la strada della mastectomia preventiva, vale a dire l’asportazione del seno, grazie al quale il rischio crolla al 5%. Alcuni criticarono la decisione, vista come il frutto di un esagerato allarme. Altri invece applaudirono al coraggio. Di certo, grazie alla fama della protagonista, le richieste per effettuare il test sono esplose anche in Italia, nonostante la scoperta della mutazione genetica da BRCa1 e 2 sia universalmente nota da circa 15 anni. Molte donne hanno chiesto di sottoporsi all’esame considerato come predittivo del male, nella maggior parte dei casi in maniera del tutto inappropriata.

 

Tanta confusione

Una parte dell’informazione ha giocato un ruolo importante veicolando un messaggio a volte sbagliato, senza la conoscenza approfondita del tema. “Anche oggi, a distanza di un anno, alcune donne pensano che il test del gene BRCA 1 e 2 sia a disposizione di tutti, pur senza considerare le condizioni necessarie”, ricorda la professoressa Adriana Bonifacino, Responsabile dell’Unità di Senologia del S. Andrea. “Nell’arco dell’anno si è fatto molto anche sul piano dell’informazione. Spesso però è passato un messaggio non corretto. In alcuni casi si è trasmesso: ho paura del cancro, preferisco togliere le mammelle. Ovviamente non c’è alcun fondo di verità”.

Già, ma allora quand’è utile richiedere il test per scoprire se nel proprio patrimonio genetico esiste la mutazione?

 

L’albero genealogico

 Per accedere alla consulenza genetica ed eventualmente effettuare il test genetico occorre svolgere a monte uno studio dei casi di tumore riscontrati in famiglia. “L’attrice – ricorda la professoressa Bonifacino - ha fatto il test genetico perché sapeva che già la madre, morta di tumore al seno, era portatrice della mutazione BRCA1 così come la zia, deceduta per la stessa patologia. La persona che per prima si sottopone alla visita è quindi quella affetta dalla malattia e non i collaterali sani. Nello specifico, se due persone congiunte hanno avuto il tumore della mammella prima dei 50 anni oppure se tre l’hanno avuto a qualsiasi età. E poi, se una donna ha avuto il tumore bilaterale della mammella o se ha avuto il tumore della mammella e dell’ovaio o se ha avuto gli stesso tipi di cancro prima dei 35 anni. Infine l’uomo che ha avuto il tumore al seno. Queste sono le condizioni che vengono evidenziate durante l’anamnesi – continua Bonifacino -. Se ce n’è almeno una, siamo tenuti a suggerire una consulenza genetica ovvero una visita con uno specialista ma non ancora il test. È indispensabile pertanto una accurata anamnesi nei pazienti oncologici e, quindi, una prima selezione da parte di chi accoglie i pazienti. Il consulente genetista, con il supporto di programmi statistici dedicati, valuterà la percentuale di rischio di mutazione BRCa1 –BRCa2 nella persona selezionata, e valuterà se effettuare il test da un prelievo di sangue. Questi test hanno un elevato grado di affidabilità e non bisogna in ogni caso trascurare gli aspetti psicologici di chi affronta un percorso di questo tipo e fornire una adeguata informazione e assistenza” .