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Comunicazione medico – paziente – caregiver

Ultimo aggiornamento:
18 Settembre 2025

Tempo di lettura:
8 minuti

Di: ANNA COSTANTINI

Immagine di copertina del vademecum

Comunicazione medico – paziente – caregiver

Un recente studio multicentrico italiano su pazienti con malattia avanzata mostra come il 49% di essi non abbia un'informazione corretta sulla prognosi, di questi il 60% ha la percezione che la famiglia li stia proteggendo da cattive notizie ed il 56% desidererebbe parlare di più della sua malattia con i suoi familiari.

Revisioni sistematiche hanno evidenziato il desiderio dei pazienti oncologici di ricevere maggiori informazioni su malattia, sintomi futuri, loro gestione, opzioni di trattamento e aspettativa di vita con modalità diverse da persona a persona. In generale essi desiderano negoziare con un medico che si mostri empatico e che solleciti domande. Parlare di cancro, tuttavia non è un compito facile per nessuno. Nell’immaginario collettivo, infatti, il cancro è ancora uno degli eventi più temuti dalla popolazione generale, che può colpire a qualunque età e fase della vita, che può cambiare la prospettiva esistenziale e i ruoli dentro e fuori la famiglia. Esperienze precedenti interferiscono nella relazione con la persona malata influenzando le parole che si usano, nella
maggior par te dei casi in modo non sempre consapevole. Fare attenzione a come si comunica è importante per diverse ragioni: primo perché le parole operano cambiamenti psicologici, secondo perché non possiamo non comunicare e la scelta che ci si pone è se stiamo davvero comunicando
ciò che desideriamo o qualcos’altro.
Non ci sono in assoluto cose giuste o sbagliate da dire ma quando affrontiamo il tema della malattia, alcune indicazioni generali possono facilitare la comunicazione, il passaggio della giusta informazione e dare supporto al paziente:

  1. Usare consapevolmente la comunicazione: dire “Andrà tutto bene”, “Vedrai tutto si risolve”, “Sei guarito devi stare tranquillo”, “Non preoccuparti, vedrai che la Tac andrà bene” sono frasi che possono costituire una fonte di rassicurazione prematura, dando un sollievo immediato, ma causare in seguito una delusione maggiore se poi si rivelano false speranze. Dire “Non preoccuparti”, inoltre, può comunicare che non siamo disposti ad accogliere le sue paure. Un’altra frase usata spesso è: “Sei forte, devi combattere” implica che in un certo senso non va bene mostrarsi fragile o esprimere la propria ansia bloccando così la possibilità di condividere pensieri negativi.
  2. Fare attenzione a non identificarsi: “Se io fossi al tuo posto”, “Se fosse mio padre” voi non siete lui/lei e il paziente non è vostro padre, le persone hanno storie di vita, tratti di personalità e modi diversi di affrontare gli eventi stressanti.
  3. Dare importanza al non verbale: la comunicazione non è solo verbale, il tono della voce, l’espressione, lo sguardo, la postura vengono immediatamente colte e arrivano molto prima delle parole. Usare un tono funereo, imbarazzato, evitare il contatto visivo o un’espressione di esagerato ottimismo quando non adeguato alla situazione reale possono comunicare che c’è qualcosa che non va e che si sta cercando di nascondere.
  4. Considerare che il cancro può dare luogo a reazioni depressive o ansiose anche in chi non ne ha mai sofferto. Vedere una persona cara demoralizzata o depressa è doloroso, ci fa sentire impotenti e per uscire da questa sensazione sono possibili reazioni come “Tirati su, se ti lasci andare sarà peggio”, “Non devi neanche pensarle certe cose”, “Devi essere positivo, per aiutare la guarigione” che oltre a non essere basate su dati scientifici, innescano sentimenti di colpa per la convinzione di contribuire ad un peggioramento del decorso.
  5. Essere consapevoli che le emozioni possono creare imbarazzo e timore di non saperle gestire per questo a volte si cerca di bloccarle o minimizzarle cambiando discorso, dando consigli pratici non richiesti (“Distraiti”, “Prova quell’integratore, è miracoloso”), o con ingiunzioni come “Sei guarito devi stare tranquillo”. Frasi come queste faranno sì che il paziente non si sentirà capito né autorizzato ad esprimere le proprie emozioni ed in futuro le reprimerà, con conseguenti sentimenti di solitudine.
  6. Trattare la persona malata come qualcuno che va sempre protetto e che ha perso la sua capacità di autonomia decisionale non è sempre un’operazione efficace. “Lascia che di tutto si occupino gli altri”, “Fai parlare me con i medici”, “Tu non ti preoccupare di niente” sono accettabili in alcune fasi del percorso di cura, ma aiutare la persona a mantenere un senso di identità ed un grado di autonomia contrasta sentimenti di demoralizzazione.
  7. Rispondere alle domande cercando prima però di capire cosa la persona desidera davvero sapere e come vuole che gli sia detto, favorendo così una comunicazione personalizzata.
  8. Aiutare a capire cosa sta succedendo restituisce in generale un senso di controllo che una malattia come il cancro sottrae ed evita una regressione psichica che può alimentare sentimenti di impotenza.
  9. Come iniziare a parlare? Non è facile vincere quel vuoto di parole che ci causa affrontare un dialogo personale con una persona cara malata, non lo è neanche per un medico addestrato agli aspetti tecnici della malattia, per la mancanza di formazione nel trattare conversazioni difficili che riguardano l’intimità e l’esistenza. Un suggerimento utile è quello di iniziare sempre con una domanda aperta: “Come stai?” perché la persona inizierà a parlare dal punto per lei importante. Chiedere “Come ti senti?” comunica inoltre interesse per la sua esperienza soggettiva, disponibilità all’ascolto e la autorizza a parlare. E, infine, ascoltare senza interrompere con rassicurazioni premature o minimizzazioni, così che il paziente possa darci la direzione su come vuole o può continuare il discorso, sui suoi limiti e i suoi bisogni.
  10. Ogni persona ha un suo stile personale di affrontare le intemperie della vita, un suo punto di fragilità, non tutti hanno piacere di parlarne nello stesso modo o magari non in quel momento. C’è anche chi preferisce non parlarne affatto e distrarsi. L’autonomia del paziente va sempre rispettata.
  11. Se apriamo un canale di comunicazione autentica aspettiamoci delle emozioni, le nostre e quelle della persona malata. Il cancro mette chiunque alla prova. È dunque importante essere preparati e non farsi spaventare dalle emozioni, esprimere in modo autentico il proprio dispiacere. Il punto è che non possiamo risolvere i problemi di salute della persona o evitargli la sofferenza ma possiamo essergli di supporto con interesse autentico ed empatia.
  12. Sentire riconosciuta la propria esperienza emotiva fa sentire profondamente compresi e abbassa il livello delle emozioni. L’empatia è uno dei più potenti strumenti di supporto in grado di modulare le emozioni. Consiste nella capacità di comprendere come una persona stia vivendo una situazione difficile, guardare dalla sua prospettiva e comunicargli questa comprensione. Invece che dire “Dai tirati su, andrà tutto bene” possiamo ad esempio dire: “Deve essere stato davvero duro per te affrontare questa terapia” o “Il risultato della tac deve essere stata proprio una delusione.”
  13. È possibile cambiare le nostre fonti di speranza. Se la speranza che sappiamo dare è solo quella di vincere la guerra contro il cancro, a volte la si vince e a volte la si perde. Meglio dunque aiutare la persona ad attingere a diverse forme di speranza. Si può dare speranza, ad esempio, valorizzando i successi della medicina e delle sperimentazioni, dando la propria presenza “Ti sarò sempre vicino”, “Possiamo parlare quando vuoi se lo desideri”, “Sono qui per sostenerti nelle decisioni”, usando termini appropriati come “La tua malattia no è guaribile, ma è cronica” o aiutando a mantenere un senso di valore “Essere coraggioso non significa non avere paura, ma riuscire a sopportarla” “Essere forte non significa non provare sconforto e paura”.
  14. Gli esseri umani hanno bisogno di sentire che c’è un perché per cui vivere ed è importante, dunque, favorire la ricerca di fonti di significato: “Anche nella malattia sei ancora un padre, un marito, un esempio”, “Puoi convivere con la malattia mantenendo dignità, identità e valore”. Viktor Frankl, uno psichiatra austriaco, ha scritto: “Quando non puoi cambiare qualcosa puoi sempre cambiare l’atteggiamento con cui l’affronti” o con le più recenti parole di Vialli: “Il 10% lo fanno i fatti il 90% come li affronti”.

Il ruolo chiave della comunicazione tra medico e paziente nel successo delle terapie

L'importanza di una buona comunicazione tra medico e paziente è fondamentale non solo per migliorare l’adattamento alla malattia e la qualità della vita ma anche nel favorire l'aderenza ai trattamenti. Mantenere un dialogo aperto con l’équipe medica in tutto il percorso di cura, favorisce la comprensione delle terapie prescritte, dei sintomi associati e della loro gestione con ricadute positive sulla sopravvivenza e sulla qualità di vita. Essere ben informati sugli eventuali effetti collaterali delle terapie permette ai pazienti di riconoscerli tempestivamente e adottare le strategie più appropriate per gestirli. Una relazione caratterizzata da una comunicazione chiara, veritiera e supportiva trasmette al paziente la sensazione di essere rispettato come essere umano, lo rende protagonista attivo delle cure creando le condizioni per adottare un atteggiamento mentale e comportamentale favorevole nei confronti della cura, riducendo altresì l’ansia legata alla perdita di controllo su ciò che gli sta accadendo. Un supporto costante e una corretta gestione degli effetti collaterali rafforzano la fiducia nella struttura sanitaria e dell'équipe curante, la motivazione nel seguire il trattamento come prescritto ed ultimo ma non ultimo per importanza possono prevenire sentimenti di demoralizzazione così frequenti nelle patologie oncologiche. Parlare con il medico e condividere ogni dubbio o problema è il modo migliore per affrontare insieme questa sfida.

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