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One Health

Ultimo aggiornamento:
19 Settembre 2025

Tempo di lettura:
7 minuti

Di: GIOVANNI LEONARDI, ALESSIO NARDINI, DENISE GIACOMINI

Immagine di copertina del vademecum

One Health

La salute pubblica non può più essere considerata un obiettivo isolato, ma deve essere vista come il risultato di un'azione concertata che coinvolge tutti gli aspetti della vita quotidiana, dalla scuola all'alimentazione, dall'ambiente alla gestione delle risorse naturali.

Il Dipartimento One Health del Ministero della Salute ha intrapreso un percorso significativo volto a sensibilizzare i cittadini riguardo l’importanza di uno stile di vita sano, sostenibile e rispettoso dell'ecosistema. Questo obiettivo viene perseguito attraverso una serie di strategie mirate e integrate che combinano approcci educativi, scientifici e socio-sanitari.

In particolare, con la direzione di nuova istituzione dei corretti stili di vita e dei rapporti con l’ecosistema si affrontano i temi cruciali come le dipendenze (da alcol, fumo e doping), l’attività fisica, la salute mentale, i disturbi alimentari, la salute connessa ai fattori ambientali e la disabilità, cercando di sensibilizzare la popolazione a comportamenti responsabili e integrati in un’ottica di salute pubblica.
Particolare attenzione sarà riservata ad una vision ecologica e sostenibile, che incoraggi i cittadini a fare scelte quotidiane con impatto positivo sulla salute del pianeta, come il riciclo e l’adozione di comportamenti rispettosi della natura.

La salute mentale riveste una notevole importanza e a tale riferimento si prevedono specifiche azioni, anche in collaborazione con il settore dell’istruzione, al fine di pianificare interventi integrati per il benessere globale e psicologico.

Un concetto fondamentale, per l’approccio One Health, riguarda l’esposoma, cioè l’insieme di fattori ambientali che influenzano la nostra salute durante la vita. Sensibilizzare la popolazione sull’importanza di ridurre l’esposizione a fattori di rischio ambientali è un passo fondamentale per promuovere comportamenti più responsabili e sostenibili, anche per la prevenzione del cancro.

In quest’ambito, il Dipartimento One Health vuole sviluppare iniziative di sensibilizzazione sulla qualità dell’aria, l’uso di pesticidi e la gestione dei rifiuti, promuovendo il coinvolgimento attivo dei cittadini in azioni che migliorano la qualità dell’ambiente, come l’uso di prodotti sempre più ecologici. Inoltre sarà compito del Dipartimento, anche per il tramite del Focal Point nazionale di EFSA, prevedere una comunicazione chiara e accessibile sui rischi alimentari che è fondamentale per permettere ai cittadini di compiere scelte consapevoli e adottare comportamenti sicuri nella gestione degli alimenti. Il coinvolgimento attivo della popolazione e il cambiamento dei comportamenti sono fondamentali per costruire una società più sana, più sicura, resiliente e in armonia con l’ecosistema.

ROBERTO FARNÉ

Con outdoor education, o educazione all'aperto, si intende un approccio pedagogico che privilegia l'ambiente esterno come “ambiente di apprendimento”. L’obiettivo è di promuovere attività educative, formali e non formali, sia in ambito scolastico che extrascolastico, valorizzando il territorio e in particolare gli ambienti naturali.

Le condizioni dell’infanzia oggi, nella nostra società, vedono il diffondersi di stili di vita dove i bambini e le bambine sono sempre più chiusi: in casa, a scuola, in ambienti connotati da forme di controllo che limitano fortemente la crescita di quei campi d’esperienza fondamentali per lo sviluppo psicofisico in
una fascia d’età, dall’infanzia alla preadolescenza, dove il corpo e il movimento, l’esplorazione, le sensibilità tutte, la socialità ludica hanno bisogno di tempi e spazi per esprimersi nelle forme e nelle modalità libere. E l’ambiente esterno offre le migliori opportunità affinché ciò avvenga.

Prima che un’istanza pedagogica, dunque, l’outdoor education è una condizione che riguarda la salute e il benessere del soggetto.

Portando il discorso nell’ambito scolastico, garantire lo star bene a scuola è la base fondamentale per favorire la qualità didattica dell’apprendimento; e che la scuola oggi generi spesso forme di malessere è ampiamente documentato. Le ricerche nel campo delle scienze dell’educazione e della salute
concordano nel rilevare come la perdita di esperienze con l’ambiente esterno nella sua fisicità e naturalità, durante l’età dello sviluppo, comporti una perdita di competenze sul piano psicomotorio, una minore capacità attentiva, un aumento di insicurezza e fragilità emotiva. Si diffondono così veri e propri pregiudizi antiscientifici: che se i bambini stanno fuori allora si ammalano facilmente, che la libertà di gioco e di esperienze all’aperto determina un aumento di incidenti fisici ecc.

È vero esattamente il contrario: più i bambini trascorrono tempo all’aperto, soprattutto in ambienti con caratteristiche naturali, con le normali precauzioni, più migliora la loro salute, imparano a valutare i rischi mettendosi alla prova e misurando le proprie capacità, sviluppano curiosità e attenzione. In altre parole: sono attivi sul piano intellettivo ed emotivo grazie anche a quella “psicomotricità naturale” che è alla base di tantissimi giochi spontanei.

Alla necessaria, doverosa protezione dell’infanzia, si è sostituita una iperprotezione che è antipedagogica poiché tende ad espropriare i bambini delle esperienze necessarie alla loro crescita. L’educazione consiste nel portare i bambini e le bambine a fare esperienze, non a toglierle.

PRISCO PISCITELLI

Nel dizionario enciclopedico Treccani pubblicato nel 1955, alla voce “tumore” corrispondeva la definizione di “malattia professionale dei lavoratori dell’industria chimica”, riconoscendo quindi un preciso nesso di causalità.

Questo chiaro riferimento ad un'eziologia del cancro come collegata alle esposizioni a sostanze chimiche è progressivamente scomparso nei decenni successivi, aprendo la porta a spiegazioni generiche basate su una patogenesi “multifattoriale”. Oggi, il cancro è generalmente associato all’invecchiamento della popolazione come conseguenza dell’accumulo casuale di mutazioni da danno genetico ossidativo. L’incremento dei casi di cancro è
inoltre attribuito da molti addetti ai lavori al miglioramento delle nostre capacità diagnostiche: siamo cioè in grado di fare più diagnosi di tumori (vedi screening mammari o della cervice uterina).

Tuttavia, questa spiegazione non chiarisce perché gli aumenti più elevati e più rapidi dell’incidenza del cancro si osservano nelle fasce di età più giovani (ad esempio tra i 25 e i 39 anni si registra il massimo incremento del numero di mastectomie: +23% in sette anni), compresi i bambini (+3.2% di aumento per tutti i tumori sotto 1 anno di età), laddove almeno questi ultimi non sono esposti ai tradizionali fattori di rischio come il fumo di sigaretta (“i bambini non fumano”), fattori professionali o a prolungata adozione dei cosiddetti “stili di vita insalubri”.

L’aumento dell’incidenza del cancro nel primo anno di vita e nei giovani è stato potenzialmente collegato all’esposizione già a livello transplacentare (materno-fetale) o nella fanciullezza ad agenti pro-cancerogeni o alla trasmissione transgenerazionale di alterazioni epigenetiche già presenti nei gameti come conseguenza dell’esposizione genitoriale a diversi contaminanti ambientali nei “primi mille giorni di vita” ma anche durante gli anni fertili dell’adulto.

Si tratta di un cambio di prospettiva rispetto al paradigma eziologico della teoria della cancerogenesi. Infatti, nei giovanissimi non possiamo ipotizzare al contrario degli adulti e degli anziani – un progressivo accumulo di mutazioni casuali (stocastiche) del DNA, come presuppone il modello patogenetico classico (la cosiddetta “teoria delle mutazioni somatiche”, SMT).
Ad esempio se finora un giovane poteva rispondere che fumare sigarette era una sua decisione che non faceva male a nessun altro che a lui (a parte il fumo passivo), oggi sappiamo che le sostanze sviluppate nella combustione delle sigarette al pari di altre esposizioni ambientali potranno produrre alterazioni epigenetiche anche nelle cellule germinali, con trasmissione diretta alle successive generazioni.

Riconoscere la teoria eziologica più appropriata per la cancerogenesi ci consentirebbe di attuare adeguate misure di prevenzione primaria, come la rimozione dell’esposizione individuale a sostanze chimiche e agenti cancerogeni ambientali (Classe IARC 1 e 2). È questa la sfida di una nuova visione della medicina e dell’epidemiologia che sia in grado di cambiare il mondo.

Le statistiche che stiamo generando (che spesso si limitano a "conteggiare” i “morti”, i casi “osservati” e “attesi”) devono trasformarsi in azioni preventive evidenziando tempestivamente le minacce emergenti per la salute delle persone – con un focus particolare sui bambini e sui giovani – al fine di fornire possibili soluzioni. Per raggiungere questo obiettivo, le osservazioni epidemiologiche (che rappresentano i “fatti”) dovrebbero guidare lo sviluppo di coerenti teorie eziologiche della cancerogenesi, così come per tutte le altre condizioni che sono in drammatico aumento anche in età pediatrica: malformazioni congenite, malattie autoimmuni e metaboliche (compreso il diabete di tipo 1) o disturbi del neuro-sviluppo neurologico (ad esempio l'autismo), tenendo conto delle interazioni tra epigenoma, stile di vita e ambiente.

Si apriranno in tal modo opportunità inaspettate per la prevenzione primaria sia farmacologica che non farmacologica e sarà possibile ridurre l’impatto di queste nuove epidemie che caratterizzano il XXI secolo.

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