Negli ultimi decenni si è visto che sebbene il tumore sia una malattia grave, grazie alla diagnosi precoce e alle terapie sempre più innovative, si può guarire e si può convivere con esso per molti anni con una prospettiva di vita simile alle persone non colpite da tale malattia. Per questo è fondamentale una particolare attenzione alla qualità di vita delle persone in tutto il percorso che si intraprende dopo una diagnosi di neoplasia. Particolarmente rilevante è il fatto che molto di queste sono in giovane età.

Per tale motivo il mantenimento, o il ripristino, della funzionalità riproduttiva dopo la guarigione è un obiettivo prioritario per gli oncologi, per garantire così una migliore qualità di vita alle donne che vengono colpite da tumore in età fertile, ma anche a quelle bambine in cui la neoplasia si manifesta in età pre-pubere.

 

Le procedure principalmente utilizzate per preservare la fertilità delle donne sono:

 

Crioconservazione embrionaria: gli embrioni da crioconservare si ottengono mediante tecniche di fecondazione in vitro. La procedura richiede la stimolazione ovarica in modo da poter raccogliere un certo numero di ovociti da fecondare in vitro con gli spermatozoi. Gli embrioni così ottenuti sono trattati e conservati in azoto liquido a -195°C fino al successivo reimpianto. Tale tecnica è collaudata e sicura ma inapplicabile nelle giovanissime in età pre-pubere e, in Italia, è applicabile solo nei casi previsti dalla legge 40/2004. Richiede dei tempi di esecuzione che escludono le donne adulte che necessitano di iniziare subito la chemioterapia o in quelle pazienti colpite da forme tumorali sensibili agli estrogeni, come alcuni tipi di cancro al seno, in cui la stimolazione ovarica causerebbe inevitabilmente una accelerazione della progressione tumorale.

 

Criopreservazione ovocitaria: gli ovociti vengono prelevati previa stimolazione ormonale, e successivamente crioconservati in azoto liquido a -195°C. Questa tecnica non è soggetta ad alcuna restrizione normativa, ed è attualmente la più diffusa in Italia nei centri di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA). Come per il congelamento degli embrioni, è una procedura cui si può ricorrere solo se ritardare l’inizio della terapia antitumorale non costituisce un rischio nella paziente, ed è comunque inattuabile nelle donne affette da tumore al seno ormonosensibile, e nelle bambine poiché il loro corredo ovocitario è immaturo.

 

Criopreservazione del tessuto ovarico: Il chirurgo preleva in laparoscopia una porzione dell’ovaio denominata “corticale ovarica”, che verrà conservata in azoto liquido fino a quando la paziente non sarà in grado di sottoporsi al reimpianto. Si tratta quindi a tutti gli effetti di un autotrapianto. La corticale ovarica contiene un gran numero di follicoli primordiali quiescenti e molto resistenti. Una volta reimpiantato il tessuto ovarico riprende l’attività ormonale, i follicoli riprendono a rispondere alle stimolazioni ormonali fisiologiche e gli ovociti in esso contenuti seguono il processo naturale di maturazione. Si attesta pertanto come la sola tecnica proponibile alle bambine e alle pazienti ormono-sensibili.

 

Tutte e tre le tecniche necessitano di corrette modalità di congelamento al fine di non danneggiare le strutture e non alterare le caratteristiche funzionali delle cellule.

 

Da un comunicato dell’ Istituto Regina Elena di Roma (IRE-ISG) 19 Aprile 2011.